sabato 21 dicembre 2019

Animazione sospesa


“Pourquoi ne pouvons-nous demeurer enfermés en nous ? Pourquoi poursuivons-nous l’expression et la forme, cherchant à nous vider de tout contenu, à organiser un processus chaotique et rebelle ? Ne serait-il pas plus fécond de nous abandonner à notre fluidité intérieure, sans souci d’objectivation, nous bornant à jouir de tous nos bouillonnements, de toutes nos agitations intimes ?" E. CIORAN

Estate 1998. Apro gli occhi ed inspiro a fondo. Nella penombra riesco dapprima ad intravedere soltanto la sagoma di Angie, ansimante debolmente a terra, in cerca di refrigerio attraverso il contatto con il pavimento in granito. Sono ancora parzialmente abbacinato a causa di piccole macchie evanescenti sulla retina, frammenti ipnagogici in rapida dissolvenza. I confini degli oggetti sono labili, fragili, come procedessero fuori dalla loro quidditas o non vi avessero ancora avuto accesso. In ogni caso, non ci sarebbe niente da osservare, eccezion fatta per due mosche che si librano nell’aria, colte in una caotica danza rituale che mi cattura per un breve istante. Mi alzo indolente, e mi avvicino verso la feritoia socchiusa della persiana. La visione dell’esterno rivela uno scenario quasi metafisico: il mondo appare come siderato, catturato dalla canicola di agosto, e la sua atmosfera di sogno lascia – movimento paradossale della coscienza – che le cose si staglino immote, pietrificate dal dèmone meridiano. A breve l’arrivo della Giuliana, una sorta di zia a cui sono molto legato, rianimerà gli oggetti essenziati, ridotti a simulacri silenti. Il suo corpo, carne sostanziata da sapienza contadina, restituirà una dimensione temporale all’esperienza mediante l’imposizione di una liturgia che mi è cara. Mi siederò accanto a lei sullo scalino della porta e coglierò uno ad uno i baccelli da terra; incidendone il fianco molle lascerò che il tesoro custodito di fagioli verdi possa salire alla luce, pronto per essere sversato nella ciotola. Stoico ribelle, anticipo già il piacere che mi darà la lenta opera di sgusciamento e separazione, stando attento a circoscrivere l’azione ai soli fagioli. Dall’esterno mi scoprirei infatti impegnato nell’eludere quelle radichette carnose che legano il fagiolo al suo tegumento: una loro eventuale lesione rappresenterebbe un ostacolo sulla via della precisione formale che non posso, né voglio, tollerare. Da fuori, un bagliore. La luce solare, rutilante e dorata, magnifica il giallo ferace dei limoni penduli e, di colpo, come per contrasto, mi rimanda al giallore svilito, quasi insalubre, itterico, di una mela scorta poc’anzi sul tavolo. E mi sovvengo di un gioco solitario che pratico da qualche tempo: prendo un termine consueto, univoco nel significato, – generalmente “mela” – e lo ripeto decine e decine di volte con tono salmodiante finché il termine non mi si mostra nella sua natura di convenzione linguistica. Perché “mela” e non “pera”? Cosa significa, poi, “mela” di per sé? Contiene qualcosa della croccantezza della mela, della sua sapidità, della sua rotondità, del suo giallo mansueto? Ammetto di non saperlo. Chissà soprattutto se qualcuno lo sa? La mamma, forse. O magari è una domanda che nessuno si è mai posto: – e se fossi io, il primo? Non riesco a predire alcuna conseguenza per ciò, ed invero non so proprio cosa pensarne di tutta questa vicenda. Quel che rimane al termine di questo bizzarro processo linguistico-alchemico è soltanto un caput mortuum sonoro, il guscio vuoto di una parola che, per qualche momento ancora, è ridotta a flatus vocis, afflosciantesi su se stessa come un tessuto privato di sostegno. D’altra parte, è ancora presto per fare domande, tanto più per formulare le risposte. Intrappolato nell’immediatezza, non conosco alcuna angoscia esistenziale. Per adesso lascio che la vita mi inondi, mi traversi da parte a parte, come una cornucopia che riversi su di me la sua abbondanza, innalzandomi ad uno stato pleromatico di conchiusa perfezione.

sabato 13 dicembre 2014

Diesseits der Mauer

in memoriam

"Ich habe die Escavessaden des Schicksals erfahren
[...].
Durch alles das bin ich hindurchgegangen,
und alles ist durch mich hindurchgegangen."



È fredda, questa notte,
Berlino Est.

Pallido si staglia il Muro
lacerando le tenebre
con il suo albore di spettro,
recidendo fermamente
l'orgoglio degli Junker;
insormontabile,
alimenta dolori e sottaciute
attese,
immemore di amanti avvinti
e di promesse
tradite,
del suono di gesso
di dita avide
mosse
alla ricerca
delle rade crepe
da cui traspirano
felicità intraviste -
sventura di Piramo
e Tisbe.

Un vento malinconico ed algido
spazza
le miserie della D.D.R.
ed il suo gemito languido
contrappunta
il canto logoro degli ubriachi
in cerca di felicità,
il respiro aspro dei moribondi
abbandonati
ai lati delle strade deserte,
su cui lettere d'amore
senza destinatario
danzano
tra i fiorami che traccia
la luce falba
dei lampioni.

Al di là del Muro,
solitario,
arde un fuoco cupreo
in lontananza,
ostinatamente
crepitando invano
come un cuore non corrisposto.

giovedì 16 gennaio 2014

Abiura del materialismo


"J'écrivais des silences, des nuits,
je notais l'inexprimable."
A. R.


Cosa cerca colui che vuol smettere di cercare?

Quale desiderio profondo ed inespresso - ma tanto più ardente quanto più calunniato e messo a tacere - spinge a conoscere per non sapersi? Di quale menzogna furono lastricati i sentieri di un'intenzione che trascende il proprio egoismo fino alla perdita di sé? Da quale volontà ancipite fummo mossi a cercare il nostro nepente nell'afrore dell'ebbrezza orgiastica e nel sopore dei sensi? 

A cosa mira il nemico di ogni finalità, e cosa vide Edipo nella sua cecità volontaria?

Noi - sempiterni impiccati affamati d'aria e incapaci a morire - sui quali il principium individuationis grava come una condanna; noi, Zagrei miserandi, rosi da una Sehnsucht incessante fino al limite estremo del cuore; noi, nichilisti passivi e pallidi décadents, in cui il compimento della metafisica si volge in spasimo di morte: in noi, mistici per elezione, che si scavi furiosamente verso profondità ctonie ed oscurità abissali o che, al contrario, ci si abbeveri ai raggi superni ed alla luce albicante -, in noi risuona una tradizione millenaria che, dalla sillaba vibratile dell'Om e dalla frusta del cupio dissolvi, rivive nella pistola alla tempia e nella danza leggiadra.

lunedì 27 febbraio 2012

Aesthetics of pain


"Elle m'étreint la gorge avec les pattes, 
et me suce le sang avec son ventre."


Le gocce stillavano regolari dal soffitto della cantina e scorrevano lungo le pareti marcescenti; la muffa si era formata negli angoli, ed il muschio si faceva prepotentemente strada fra le pietre. La luce obliqua che, dalla finestra in alto, squarciava il buio della cantina, colpiva in pieno volto un uomo di mezz'età: lunghi capelli disordinati scendevano lungo le spalle possenti ed incorniciavano il volto assieme ad una barba folta, ispida ma ben curata. Gli occhi, azzurri e luminosi, erano rivolti davanti a sé, come nel tentativo di focalizzare al meglio la sagoma che si profilava nell'oscurità. Il respiro, apparentemente regolare, tradiva di tanto in tanto una mal celata eccitazione che lo scuoteva violentemente e lo rendeva impaziente ed irrequieto, mentre pregustava il sapore di un piacere imminente; inspirando profondamente, inalava un acre odore di sangue che, sollevandosi greve dal terreno, saturava l'atmosfera della stanza e rendeva l'aria soffocante.

Osservò il luogo in cui si trovava, soffermandosi sui particolari che più attiravano la sua attenzione; il sangue - ancora caldo - scorreva copiosamente dal coltello a serramanico che stringeva nella mano destra ed andava ad accrescere la pozza di sangue che si stava disegnando sul pavimento. Un suono sordo, sommesso, un debole mugolio incrinò il parziale silenzio - se si eccettua il suono regolare delle gocce cadenti - della cantina e richiamò la sua attenzione; vide davanti a sé il corpo martoriato della vittima: lunghe cicatrici segnavano il volto e il torace scoperto, mentre nuovi tagli appena inferti pagavano il quotidiano tributo di sangue richiesto. 

Mosse alcuni passi in cerchio, ritardando il momento dell'azione, per acuire il desiderio e la conseguente soddisfazione; passò la lingua lungo la lama affilata ed assaporò con piacere il consueto gusto metallico che tanto lo eccitava. Chiuse gli occhi e, per guadagnare altro tempo, si mise a riflettere sulla natura della sua passione: egli non era come quei pazzi che provano un qualche perverso godimento sessuale nell'infliggere o subire dolore; il suo piacere era altro, era un piacere celeste, trascendente, che non poteva essere inquinato dallo squallore dell'animalità umana, un piacere paradisiaco, oltre lo spazio ed il tempo, oltre la sua stessa gretta e mediocre individualità, un piacere simile a quello che dovevano provare i Sufi durante le loro folli danze o gli asceti medievali nelle ineffabili unionibus mysticis.

Alfine si risolse nelle sue intenzioni.
Tastò nervosamente l'impugnatura del coltello; lentamente, con lo sguardo fisso davanti a sé, accostò la lama al collo della vittima e, scaricando tutta la tensione raccolta nelle braccia nerborute, lo recise di netto. Immediatamente gli si appannò la vista e, mentre il sangue schizzava furiosamente dalla sua carotide squarciata, irrorando il pavimento e il muro, perse l'equilibro e colpì lo specchio appeso alla parete difronte, che andò frantumandosi in mille affilate schegge.

sabato 17 dicembre 2011

Schneeflocken

1. Come? Il fulgore di quell'astro abbacina? - o forse, sei tu che sei cieco?

2. Fraintendimenti.
"Per fortuna, ho un sacco di persone attorno nei momenti difficili."
Gli avvoltoi restringono il cerchio intorno ai viandanti sfiancati.

3. In uno scontro, l'importante non è chi ha il coltello dalla parte del manico, ma chi ha paura di tagliarsi.

4. "Leggerei Dostoevskij, se solo fosse meno prolisso."
     Ma allora, non sarebbe Dostoevskij affatto.

5. L'asina di Balaam.
Quando il diritto di parola cessa di essere un privilegio, sono i somari a divenire le guide degli uomini.

6. Ci si deve pur trovare fra l'incudine e il martello, per poter essere temprati a dovere.

7. Anti-specismo. 
"Tutte le specie sono uguali fra loro, e l'uomo è solo un animale fra gli altri": non è questa una macroscopica antinomia? La possibilità stessa di una discussione sul valore delle specie presuppone una nostra intrinseca superiorità.

8Secolarizzazione.
"Gesù fu il primo socialista"? - o forse, è il comunista ad essere l'ultimo cristiano?

9. Il valore di un uomo, di un popolo, di un movimento lo si può evincere - lo si deve evincere - dalla musica che produce. E non stupisce che il fascismo abbia generato perlopiù idiosincrasie musicali.

10. Ciò che rende le opere di Poe migliori di quelle di Lovecraft non è solo il suo stile, oscuro e raffinato come l'ebano. Alla riuscita del racconto contribuisce l'indagine dell'animo umano, un ricettacolo di orrori ben più grandi di quelli che si celano nei recessi cosmici o nelle profondità oceaniche.

venerdì 11 novembre 2011

Piccola Storia Ignobile

"The lunatic is carried at last to the asylum."


“Mi svegliai colpito in volto da un tiepido raggio di sole. Spaesato, mi guardai intorno e iniziai lentamente a distinguere le suppellettili di sempre: presi coscienza di essere nella mia camera da letto. Un sapido odore di pane arrostito e marmellata e i rumori della cucina - stoviglie che cozzavano fra loro, scalpiccio frenetico, risate - mi convinsero finalmente ad alzarmi per dirigermi nella stanza attigua.
Caddi.
Sorrisi, incolpando lo stordimento che segue il risveglio; feci forza sulle braccia e...
...caddi di nuovo.
Stupito, disteso a terra, provai a osservare le mie gambe e con orrore constatai che non c’erano più; al loro posto, lunghi arti inferiori ingombranti e glabri. Osservando le braccia, vidi che terminavano con due mani informi, che si diramavano ciascuna in un numero esorbitante di dita.
Iniziai a gridare, sconvolto, ma dalla gola uscì solo un suono basso e strozzato. Intanto, in cucina, era sceso un silenzio surreale e il suono di una sedia spostata all’indietro mi fece capire che qualcuno sarebbe presto giunto nella mia stanza; con fatica mi trascinai verso la porta, utilizzando quella specie di artigli comparsi nottetempo, e tentai di bloccare l’entrata. Grazie al peso del mio corpo, la porta resistette all’urto; ma al primo tentativo ne seguirono altri, sempre più violenti, mentre un suono convulso di ferraglia si mesceva a voci - o dovrei dire, grugniti grotteschi ed incomprensibili? - sempre più stridule.
Alfine la porta cedette.
Nel vedermi, la strana creatura bipede si scagliò contro di me: mi sferrò un calcio in pieno volto e poi, mentre giacevo accecato dalle lacrime, con veemenza abbassò su di me l’arma che stringeva fra le mani.
Mi risvegliai in questo luogo, circondato da muri bianchi e soffici, impedito in ogni mio movimento. Credo siano già tre mesi che sono in questo inferno…non resisterò oltre…cercherò la pace nella morte…”

Cari telespettatori, ciò che avete sentito è l’unica testimonianza che possediamo di quello squilibrato che ha interessato la nostra telecronaca così a lungo; l’uomo si è suicidato ieri sera al manicomio di Ednuh.
Chi era costui? Cosa voleva? Cosa cercava quel giorno nell'appartamento della famiglia Rossi?

Ah già, quasi dimenticavo: se trovate un bassotto di pelo nero e corto con una targhetta d’argento al collo chiamateci! Era il cane della famiglia Rossi: è tre mesi che è scomparso…


[Credits: F. K. ]

martedì 16 agosto 2011

West Side Story

Poggiai la siringa sul tavolino ed avvertii subito un forte appetito misto ad euforia: cupido di cibo misi a soqquadro l'intera cucina per trovare, infine, un marcescente contenitore d'alluminio nel frigorifero...
Con un movimento rotatorio dei polpastelli lo scrutai attentamente, con acribia da assassino; individuata che l'ebbi, afferrai la linguetta e tirai con delicatezza mentre il metallo, cedevole, s'incurvava.
"No, la Scatoletta di Tonno no!" esclamò Fanny. "Non farlo, ti prego; conosci il suo carattere, odia che si tocchi ciò che è suo: ti ucciderà, si vendicherà..." continuava, mentre divoravo avidamente la meschina pietanza rinvenuta.
Invano si spendeva in avvertimenti: avevo compiuto il gesto, infranto il divieto; "Nitimur in vetitum" risposi sfrontatamente, uscendo dalla stanza e dirigendomi al saloon più vicino.

Squallido e giallastro a causa della sabbia che, sovente, investiva le sue pareti, il Milly Market &Co. era pur sempre il luogo della mia infanzia, luogo di libidine, degrado e perversione.
Mi sedetti al solito posto osservando una decrepita grassona, seduta due posti più in là, e le sue mani adipose le quali bistrattavano un quotidiano che sfogliò fino alla pagina delle barzellette.
Leggendole, esplose in una fragorosa risata: le interiora volarono tutto intorno lordando di sangue il locale!

Immediatamente accorse la cameriera con lo straccio, mentre Johnny gettava il cadavere della vecchia nel cassonetto sul retro: Lullaby (così chiamavano l'inserviente), inginocchiandosi e strofinando energicamente il pavimento per rimuovere le entragna, mostrava le cosce procaci e imprimeva al florido seno un moto ondulatorio.
Ero ancora immerso in pensieri lascivi quando l'ombra di qualcuno dietro me fece sì che mi girassi: vidi appena il lampo di un vindice pugnale e Tonno che, con occhi atrabiliari, abbassava su di me l'arma per vendicarsi dell'offesa subìta.